30 settembre 2012

Super 8: In ricordo dei bei tempi andati [Recensione]



Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana, c’erano delle persone (sembra strano, ma era così) che facevano film per il gusto di farlo, abbastanza lontani dalle sole logiche economiche, interessati a voler raccontare una storia e a magnificare lo spettatore. Poi sono arrivati degli omaccioni con il simbolo del dollaro al posto delle pupille e quell’epoca è finita. Oggi, tra alienoni cattivissimi, zombi che ti escono pure dalla tazza del cesso, robbotoni di ogni sorta che se le danno di santa ragione, scapoloni dal sesso facile e che (guarda un po’!!!) si innamorano della tizia bella e intelligente, siamo a un punto morto! Quindi cosa si fa? Si pensa a qualcosa di innovativo? Seh, troppo facile! Allora si guarda al passato! Remake, sequel, prequel, spin-off, sequeldisequelcheèunprequeldiunremake, non se ne esce più! Ma non si guarda al passato come una qualunque tendenza artistica che si rispetti, no! Ma per affondare a piene mani nell’immaginario collettivo e brutalizzarlo selvaggiamente!
Detto questo: Super 8. Sicuramente il caro J.J. Abrahams non è lontano dall’arraffa arraffa hollywoodiano, anche lui ha famiglia da mantenere, ma con Super 8 ha fatto un’operazione diversa e non biecamente economica. Super 8 è un omaggio!
Un omaggio continuo: al cinema come artigianato, ai film anni ’50, ai film per adolescenti degli anni ’80, al mondo materico della celluloide. Ora, J.J. ha sempre teso verso il passato: quelle due palle assurde di Mission: Impossible – 3 e il nuovo Star Trek, ci hanno dimostrato di come sia nostalgico con la lacrimuccia facile, ma a dire il vero non hanno funzionato in quella misura, hanno scatenato reazioni più del tipo: «ancora!?!?!». Pensiamo che c’è lui dietro Cloverfield, che per quanto sia un ottimo film, sotto certi aspetti innovativo, è sempre una copia dei vari Godzilloni giapponesi anni ‘60.
Dai che ci ridai J.J. alla fine l’ha spuntata: l’omaggio al suo (ma anche al nostro) immaginario è riuscito a farlo. E.T., i Goonies, la saga di Indy (senza in quarto, per carità), la trilogia di Ritorno al Futuro, Stand by me con tutte le loro impressioni e suggestioni si amalgamano al cinema moderno e (ebbene si!) ti fanno sentire a casa tua quando eri piccolo e nel salottino, a gambe incrociate sul tappeto, guardavi un mostro alieno tenerello e sformato che volava su una bicicletta.
Diciamolo però, la storia è presa paro paro da quelle esempio dei libri di sceneggiatura: se c’è un clichè stai tranquillo che J.J. non ha perso tempo ad inserirlo. E vabbè che ha produrlo sia stato Spielberg, ma fare una copia di E.T. mi è sembrato esagerato.
Allora ci sono questi cinque ragazzini (sorvoliamo sulla storia strappalacrimechetristezzaassurda del protagonista senza mamma, che è il filone di glassa rosa e confettosa che percorre la pellicola) che vogliono fare un film amatoriale di zombie (adoro la metanarratività), mentre stanno girando la scena clou ecco che un treno militare deraglia e si scassa tutto fraccandosi in millemila pezzi. 
Si, lo so, manca il quinto
I Jackson-Five-bianchi della situazione miracolosamente si salvano e scappano alla chetichella con una roba strana fottuta sul lugo dell’incidente. Il giorno dopo, ovviamente, i TG ne parlano, tutti ne parlano, arriva l’esercito e i nostri eroi capiscono (beh, lo vedono nel video che stavano girando, in effetti) che il treno trasportava un alienone che ha pensato bene di darsi alla macchina nella loro ridente (ma assai!) cittadella. Insomma, per farla breve, l’esercito vuole evacuare la città per stanare a forza di incendi e bombe nel culo l’alieno in fuga. In tutto questo scenario varie situazioni irrisolte: il padre del protagonista che non ascolta il figlio, il protagonista innamorato della ragazzina-figliadiquellocheubriacohacaustaol’incidentechehauccisolamadre (manco Beautiful), rapporti di amicizia, ecc. Ora il nostro protagonista capisce che l’alieno ha rapito (insieme ad altri) anche l’amore della sua vita e così si infila insieme all’amico nei cunicoli scavati dall’alieno sotto terra e va a salvarla. Vi ricordate il pezzettino che i nostri si erano fregati dal luogo dell’incidente? Ebbene, era un pezzettino dell’astronave-lego-componibile dell’alieno rimasto rinchiuso nell’ormai sputtanatissima Area 51, quindi se il visitatore dello spazio vuole tornare a casa ha bisogno di tutti i pezzetti. 
Lo stesso faccino tenerello di E.T.
Durante la “missione” di recupero il nostro eroe salva ragazza, baracca e burattini, ma viene catturato dall’alienone. Dopo il pistolotto lacrimevole in cui il Nostro chiede scusa e dice al mostro altro cinque metri di scappare, l’alieno molla il ragazzino e via nello spazio, ciao ciao, davanti ad una folla (ma la città non era stata evacuata?) e davanti ai due padri (del protagonista e della ragazzina) che nel frattempo hanno fatto pace (per salvare i figli, ma a conti fatti non hanno fatto una mazza), abbraccio tenerello e titoli di coda. A lettere di mazzacane più o meno la trama è questa, ma non ce ne può fregare di meno. Si, perché non è per la trama che uno si vede il film (so che può sembrare assurdo) ma è per la sicurezza del già visto, il piacere delle sorprese che non sono tali, il gusto di ritrovare il proprio immaginario filmico, persino dello scontato e rassicurante lieto fine. 
Ohhhhhhhh... Il lacrimevole finale....
Non è la banalità a permeare il film perché i clichè non sono incollati alla men peggio giusto per far durare il film due ore, ma sono strategicamente piazzati per farti rivivere tutti i film della tua infanzia. Ovviamente l’abbondanza di effetti digitali ti fa pensare: «ma se questo è un film di fantascienza, io prima che cazzo ho visto?!». Ma non sono invadenti e fastidiosi, anche loro si amalgamano ben bene con il nostalgico fine del film.
Quindi J.J., ora che ci sei riuscito a fare un bel film omaggio-nostalgiaportamivia, perché non provi a fare un film nuovo? Come? No? Ah, già, Star Trek 2. E vabbè…

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