17 gennaio 2015

Boyhood: quanto tempo ci vuole per fare un filmone? [Recensione]


Come anticipato l'anno scorso eccolo qui, fresco fresco di Golden Globe e favorito per la statuetta dorata dell'Oscar: Boyhood!
L’idea, ammettiamolo, è geniale! Solo è per questo il film ha un valore a se stante: l’arte cinematografica del racconto fittizio con velleità documentaristiche. Mi spiego meglio.
Se tu fai un film, di solito racconti eventi inventati (o in parte) che, salvo rare eccezioni (Nodo Alla Gola di Hitchcock, Panic Room di Fincher o Arca Russa di Sokurov, proprio i primissimi che mi vengono in mente) e, cioè quelli che rispettano le tre regole aristoteliche del dramma (tempo, luogo e azione), raccontano diverse fasi temporali per restituire la storia. Cioè, Batman, prima di diventare Batman ha avuto il suo traumacheormaituttisappiamo, quindi la produzione sceglie un bambino (ecco Mr. Ovvio all’attacco) e poi un attore ottimo (Keaton) o sbagliato (Clooney) per incarnare il personaggio. Qui no invece!

L’idea documentaristica è quella di girare per ben 12 lunghissimi anni per poter cogliere le trasformazioni fisiche degli attori. Noi spettatori vediamo il piccolo protagonista del racconto crescere e diventare un uomo, vediamo i suoi genitori invecchiare, gli eventi globali (dalla guerra in Iraq all’uscita di Episodio III di Star Wars) che tutti noi abbiamo vissuto, fare da sfondo alla storia.
Il mondo visto dagli occhi del bambino, ci permette di recuperare quelle sensazioni di curiosità, di stupore, d’incomprensibilità sugli eventi e sulle relazioni. È uno straordinario film sul cambiamento, ma non solo “epocale” o storico, ma soprattutto è un film che racconta i mircocambiamenti: fisici, emotivi, culturali, sociali, identitari. Restituisce, attraverso i particolar, l’affresco di un’era, non proprio di passaggio ma cruciale dei nostri anni, degli anni di chi vive in questo momento.
La storia non è che sia estremamente accattivante o innovativa, ma se lo fosse stato il film avrebbe perso la sua peculiarità: aderenza alla vita quotidiana di ognuno di noi. Noi tutti possiamo riconoscerci nei personaggi, nelle loro vite, nei loro scontri e nelle loro gioie quotidiane.
È un film che non sa di essere un “documento storico”, o, almeno, sa che potrebbe esserlo senza averne conferma: oggetti, musiche, eventi, tecnologie che nel momento della realizzazione della scena erano coevi, già nella scena seguente sono passati. Oh, s’interrogano pure se ci sarà un nuovo Star Wars. Noi sappiamo che a dicembre questo amletico dubbio verrà sciolto!
Quindi uno straordinario film dalla confezione oltremodo complessa e ricca, un esperimento cinematografico come pochi negli ultimi anni e pieno di spunti di riflessioni che non lo relegheranno a mero esercizio di stile, ma ad opera dalla molteplice lettura.

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