Noi tutti sappiamo, e se non lo sapete, sappiatelo, che fare fumetti
non è sempre facile. Non è che prendi una matita e via, creato il capolavoro.
Ma se è difficile con una matita, quanto sarà più difficile con uno scalpello?
Se a domande come “chi siamo?”, “dove andiamo?”, “che mondo sarebbe senza
Nutella?”, la religione risponde alle prime due, mentre per la terza al Cern
non hanno ancora trovato risposta, sul fumetto abbiamo chi ci da una risposta:
Alvise Rossi, disegnatore veneziano di due metri e con braccia granitiche che
non vorresti farti nemico, ma che in realtà è una persona gentilissima e
disponibilissima. Il fumetto di cui parliamo è Inferni: Venezia, la peste e l’uragano, albo realizzato interamente
e nientepopòdimenochè in Linoleografia,
una tecnica che solo per scrivere il suo nome già ti vengono dubbi
esistenziali, figurati per realizzarla.
Ci spieghi la tecnica
realizzativa dietro Inferni, la
linoleografia?
È una tecnica di stampa artistica artigianale. Una variante della
Xilografia…
Che, però, si pronuncia meglio!
Si è più rapida [ride]. La Xilografia è una tecnica di stampa in cui,
la matrice, è una matrice lignea, mentre nella Linoleografia, la matrice è un
materiale plastico come il linoleum.
Quello dei pavimenti?
Quello dei pavimenti! Esattamente. Viene inciso. Ovviamente, essendo
una tecnica di stampa, bisogna incidere il disegno al contrario. Nell’incisione
si deve scavare via quello che, poi, nella stampa dovrà risultare bianco,
lasciando quello che dovrà risultare nero. È una tecnica di stampa che ha
origine, più o meno, all’inizio del ‘900, ed è anche stata usata molto da
artisti espressionisti, ecc…
È tanto difficile incidere il
linoleum? Ti sei esercitato, quando eri piccolo, sul pavimento di casa?
Si! Ho fatto fuori il pavimento di camera mia. È molto meccanica. Tu
incidi direttamente la matrice, come col legno. Altre tecniche sono più
immediate, come, ad esempio, l’Acquaforte, che è un’altra tecnica di stampa. Si
realizza una matrice in zinco, oppure in rame. In quel caso li, s’incide una
protezione della lastra, la quale viene, poi, immersa nell’acido che penetra
dove è stata fatta l’incisione, scavando. Nella Linoleografia, una volta che
hai inciso, hai inciso. Se hai fatto una cosa che non dovevi fare, o ce la fai
stare oppure devi ricominciare da capo. Mentre, ad esempio, nell’Acquaforte, se
tu anche incidi il rivestimento della matrice di zinco, finché non la butti
nell’acido puoi fare comunque delle correzioni.
Quante volte hai sbagliato e
quante volte hai ripetuto da capo o ammacchiato le cose?
Di errori nella realizzazione delle matrici ne ho fatti un bel po’… Ma
di più sono quelli che sono riuscito a far andare bene in un secondo momento
[ride]. Anche di quelle che non si riusciva a recuperare, in realtà, ho
tagliato degli scampoli, ho utilizzato dei pezzi, o creato altre matrici più
piccole per far le dediche. Non si butta via niente.
Il linoleum è come il maiale…
Si esattamente [ride].
Ma come mai avete scelto una
tecnica così particolare per un fumetto?
Io e Valentino [Sergi, ndr.] ci siam conosciuti mentre io stavo
realizzando una serie di linoleografie sulla “commedia dell’arte”. Ci è
piaciuta, c’è appassionata, l’idea di fare un fumetto realizzato interamente
con questa tecnica. È stato un percorso naturale: da quando ci siam conosciuti,
a quello che stavo facendo io, alcune idee che aveva lui, e alla fine abbiam
deciswo di fare questo lavoro.
Tutto il fumetto è sulle scale
dei grigi, però usate il colore rosso in maniera narrativa, per spiegare
diverse cose. Come mai avete scelto proprio il colore rosso e come avete
realizzato la colorazione?
L’unica stampa effettivamente fatta in due colori è questa.
Per far la quale abbiamo realizzato due matrici separate, una per il
nero, una per il rosso, poi in fase di stampa devono coincidere sennò si
sballa. Nell’originale, il resto delle stampe sono chiamate “monocrome”, quindi
con una sola matrice, e il colore è stato aggiunto in fase di produzione
editoriale. Passi da una stampa artigianale che sta in piedi da sola ad una
industriale, devi dare qualcosa in più. Ad un certo punto abbiam deciso di
aggiungere dei colori. Abbiamo aggiunto mezzi toni di grigio e poi il rosso,
che all’interno del fumetto ha una regola: tutti quanti gli oggetti, le cose,
che riguardano elementi naturali oppure magici, hanno elementi di rosso.
Chiaramente non è una regola fissa perché poi diventa uno schema che
appesantisce, però l’idea è stata questa. Ad esempio: l’aria, Ecate o simboli
magici sono in rosso, mentre il resto, gli essere umani, le cose non legate
alla magia sono in nero.
Sono presenti, nel testo,
diversi caratteri tipografici. Come mai questa scelta narrativa?
Aiutano a caratterizzare meglio
la situazione. Sono tre: un carattere che è quello dei dialoghi tra esseri
umani, un font moderno, da fumetto; c’è un carattere che, inizialmente, può
sembrare delle didascalie, ma in realtà, quelle didascalie, sono la voce fuori
campo di Ecate che ha un carattere più antico, perché il personaggio è antico,
magico; e poi c’è un altro carattere utilizzato, nel momento in cui si fa una
narrazione di tipo cronologico, come se fosse la cronaca di un giornale. Quindi
la scelta di font così diversi è servita anche come supporto alla narrazione.
In Inferni ci sono diversi riferimenti: letterari, come alla piccola
Cecilia de I Promessi Sposi, e
mitici, come alla dea Ecate; la narrazione è ammantata da un’atmosfera da
horror gotico. Qual è il vostro bagaglio iconico di riferimento?
Io credo che ci sia un bagaglio iconico legato alla magia e alla
ritualità pagane, soprattutto alle ritualità femminile, che è comune all’area
europea e quindi all’aera americana, e poi anche all’area orientale. C’è questa
divinità femminile, Ecate, che noi, nella storia, nella letteratura, nel mito,
troviamo in mille forme diverse: tripla, singola, con animali, col serpente,
con le torce. Ed è un’esigenza culturale. Abbiam bisogno di questa divinità
femminile. Per fare un esempio: la statua della libertà – non voglio dire
assolutamente che sia una rappresentazione di Ecate – esteticamente richiama un
tipo di iconografia di Ecate, con la torcia che guida le persone dal regno dei
morti al regno dei vivi, e viceversa. Non dico che ci si sia ispirati ad Ecate
per realizzarla, però non si può fare a meno culturalmente, di questa donna che
ci accompagna.
Ma nel vostro fumetto è
malvagia! Anche la statua della libertà è cattiva?
Secondo me non è malvagia nel fumetto. Nel fumetto la percepisci
malvagia perché si vendica di un torto subito da una sua accolita. Però queste
divinità sono personaggi vitali, personaggi della fertilità. Ma sono anche
personaggi che fan parte di un bagaglio culturale che lavora più per simboli, e
i simboli, anche etimologicamente, “mettono in insieme” aspetti anche opposti,
diversamente da “diavolo” che, in realtà, è dividere. Chi divide è proprio la
chiesa cattolica, perché, ad esempio, la prima fase del fumetto è una citazione
da Giovanni: «colui che non dimora in me
è gettato via, come il tralcio, e si dissecca, poi viene raccolto per essere
buttato nel fuoco e bruciato». E questa è una frase che è stata usata come
giustificazione teologica per l’inquisizione e la caccia alle streghe. E questa
frase, fondamentalmente, definisce un dentro e un fuori e dice cosa si deve
fare per non bruciare. Questa frase è più diabolica di tutte le altre
simbologie delle divinità pagane.
Qual è il rapporto tra scienza
e magia in Inferni? Il protagonista,
dopotutto, è un medico.
Nel fumetto, il Medico, abbandona o riconosce i limiti della scienza e
cerca l’aiuto della magica per scongiurare il flagello che sta distruggendo il
suo mondo, la peste. È una scienza agli albori, quindi come efficacia, come
potenzialità, sono equipollenti, comunque comnucanti. Paracelso, stesso,
affermò di aver imparato molto dalle streghe e dai suoi viaggi, più che dai
libri che aveva studiato. Il rapporto tra sceinza e magia: sono due entità
equipotenti e lo scienziato di allora cerca l’aiuto.
Perché scegliere una città come
Venezia? E non rispondere «perché sono nato a Vanezia».
Non rispondo così. A parte il fatto che…
Sono nato a Venezia.
Sono nato a Venezia [ride]. Ogni volta che fai qualcosa riguardo a
Venezia, comunque hai già un po’ di punti, c’hai un jolly subito. Giochiamocelo
subito, così. Come ti ho detto prima, io e Valentino ci siamo conosciuti mentre
stavo facendo questa serie di stampe sulla Commedia dell’arte, che poi si è fermata
a nove. Mentre stavamo pensando di fare un fumetto assieme, utilizzando questa
tecnica, stavo realizzando un’altra tavola, su un’altra maschera della Commedia
dell’arte che è il Medico della Peste. Essendo il Medico della Peste, una
figura, una maschera, molto popolare a Venezia, è venuto fuori il personaggio,
è venuto il soggetto che si è tirato dietro la location.
Quindi è stato un “effetto
farfalla”. Ed era la domanda a cui volevo arrivare. Voi raccontate di due
eventi catastrofici, la peste e l’uragano, che si sono abbattuti su Venezia.
Possono, quindi, le scelte del personaggio principale, nel passato, ricadere,
poi nel futuro?
Io separerei il destino del personaggio dal seguito del suo
interfacciarsi con Ecate e dalla sua vita personale. A seconda del ruolo che
uno ricopre, le sue scelte personali determinano pesantemente, quello che
succede. Secondo me, una mia lettura personale di questo libro…
Ma così, da esterno.
Si da esterno [ride]… La piaga non ha distrutto l’umanità, l’ha
decimata, ma prima o poi è finita. Quindi, comunque, qualcosa l’ha fatta
finire. E potrebbe essere stata Ecate, anche in virtù di questo fatto, del
patto che il medico ha cercato di stringere con lei. Poi, la sorte e la
punizione del medico, fanno parte dell’altro tema, che rimane un po’
sottotraccia, che è quello della stregoneria.
Il vostro lavoro è un Graphic
Novel. Ormai è da qualche decennio che il fumetto ha conquistato un ruolo
legittimo nella cosiddetta “Cultura Alta”. Secondo te, è perché sono cambiati i
contenuti o è cambiato il pubblico?
Le due cose comunque si collegano. La domanda genera l’offerta e
l’offerta provoca una domanda. Visto che le Graphic Novel sono opere a fumetti,
autoconclusive, di un certo respiro, molto simili, appunto, ai romanzi, sono
dei prodotti che ci son sempre stati. Penso a Will Eisner, a Pratt. Storie di
un certo spessore ci son sempre state. Si è aperto maggiormente un mercato e,
chiaramente un mercato non si apre se non si aumenta anche il pubblico. Quindi,
secondo me, il contenuto non è cambiato, se ne chiede di più, piace di più e,
in qualche modo, si riconosce anche il fatto che il fumetto non sia solo roba
per bambini o per le masse. Non si sta dietro solo al quantitativo di copie
vendute. Specialmente, adesso, che i costi di produzione di un fumetto sono
molto più bassi. Per l’editoria stampare è molto più semplice, è molto più
economico. Adesso che non costa niente, stampare un libro, io lo faccio con una
tecnica di cent’anni fa.
Quindi siamo tornati indietro?
Io torno indietro [ride].
Lasciamo
Alvise, che la strada per Venezia è ancora lunga, e come al solito, dopo averlo
ringraziato con genuflessioni e reverenza, ringraziamo anche l’Artista per le
foto, Madama e Zio Edo per avermi fatto dare un passaggio al nostro autore e a
Batarman… No a Batarman no, perché deve essere onorato di avermi ripreso con la
telecamera.
Bòn,
mi rimetto in viaggio che i fumetti mica si leggono da soli!
Nessun commento:
Posta un commento