19 giugno 2016

Gods of Egypt: ohmiodio!!! E’ il caso di dirlo [Recensione]



Precisiamo però che l’invocazione al divino non è per meravigliata stupefazione di cotanta pellicola cinematografica, quanto più sommesso sconvolgimento di putridume cinematografico. In due parole: una schifezza!
E cacchio si! E va bene che già dal trailer l’odore di fogna si sentiva, però non si giudica mai una copertina dal libro o un trailer dal film (o, forse è il contrario?) e quindi ce lo siamo sciroppato per le sue due belle orette! Ora, con ogni cognizione di causa, possiamo dire che…
… Alex Proyas si è bevuto quel poco di cervello che gli era rimasto!
Mentre guardi il film stai li, seduto, a reggerti la testa e ripeti: «che peccato», «mannaggia», «se solo…».
Perché, se fossi stato uno studioso dell’Egitto antico, forse forse, lo perdonavi pure, con la strizzatina d’occhio a Osiride, il Bue Api (che sembra un Jar Jar Bink passato in palestra), il Dio Ra che ha una cifosi che se lo sta portando via. Ma niente, noi comuni mortali abbiamo sempre pensato che l’Egitto fossero piramidi, mummie e tizi che camminano di lato. Mai a pensare, invece, che gli dei si trasformassero in Iron Man con le cape da animale, navigassero su navicelle spaziali e si comportassero come americani ad una partita di football. 
Ma che ne possiamo sapere noi… Meno male che Alex Proyas e quegli strafattoni della produzione hanno fatto sto film.
Tralasciamo la trama banale e prevedibile che, tra un micro sonno e l’altro che ti fai mentre lo vedi, lo sceneggiatore ti chiama e ti dice: «Toh! Guarda mo che succede, non te lo aspetteresti mai!» e tu, invece, l’unica cosa che non ti aspetti è il tonfo che fa il tuo scroto quando tocca il suolo.
Ma la sceneggiatura… Ohmiodiolasceneggiatura… I dialoghi imbarazzanti spaziano dallo spessore di «Non sei nato per fare il re!» a consigli per la caccia come «ogni volta che un uccello plana sulla mia barca lo uccido prima che faccia i suoi bisogni» detto dal re degli Dei, e sono scritti cercando di mettere tutte le banalità possibili in meno frasi possibili: «ere sono trascorse da quando gli dei camminavano tra noi»… Ma quante volte l’abbiamo sentita?
E siccome non potevamo più fare filmetti da quattro dracme su gli dei dell'Olimpo, stile Percy Jackson (i miei occhi!!! I miei occhi!!!), ci siamo spostati in Egitto che, giustamente, tra la Mummia e il Re Scoprione era un po’ che non veniva storpiato (X-Tizi VS Anziano non lo contiamo).
Ma è un peccato, come dicevo all’inizio, perché alcune idee, soprattutto visive, anzi, solo visive, sono di grande impatto: la figurazione dell’Aldilà, la terra piatta, la piramide coi grandi mattoncini lego in tufo… Però poi ti trovi davanti al grande obelisco da complesso di inferiorità di Seth (Seth il “mozzicone”, per gli amici), la Sfinge che sembra un cane con la testa umana, e costumi stile Xena… Insomma… Il tuo «mannaggia che peccato» si trasforma in un «ma che caz…»!
Tralasciando la scelta degli attori, egiziani quanto una forma di parmigiano reggiano... 
Tranne, frose, il Dio vestito da pannocchia di mais
Manco gli effetti speciali salvano il film in calcio d’angolo: una profusione di digitale che ti fan quasi male gli occhi, fatto male con le cose incollate a caso e scene prese paro paro da un videogioco fatto male con coreografie lente che, più che mazzate, sembrano affettuose pacche amichevoli.
Insomma… Che cacchio ho visto!!! E l’ultimo «mannaggia» finale è destinato a te stesso per aver perso il tempo in questa maniera indecorosa.

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