Chi siamo? Dove
andiamo? Qual è la droga dentro la nutella? Sono le domande immortali che, oh,
anche viaggiando per Nerdopoli noi ci facciamo. Soprattutto quando becchiamo la
serie Sucide Risk. No… La serie non
tenta di rispondere a queste domande “umane”, ma riesce a dare una risposta
valida per il mondo dei supereroi. Anche perché nel mondo di Sucide Risk i superpoteri esistono e le
persone con poteri che ti decidono di fare? Ovvio! Diventare supercriminali! Scordatevi
Spidey, Batsy, Cap-tuttod’unpezzo!
No… Beh… Se io avessi i superpoteri, la prima cosa sarebbe fare una rapina in
fumetteria per prendermi tutti gli Omnibus, le action figures e i volumoni-reneinvendita
vari! Ma, ovviamente, non finisce mia qui… La serie, infatti, ti apre scenari impensabili
per l’universo (o universi? No, niente spoiler stavolta) supereroistico, in un
racconto sempre in crescendo che t’incolla alle pagine. Si, ma chi sono i
creatori della serie? Il racconto stile noir moderno è partorito dalla mente dell’inglese
Mike Carey, cioè Hellblazer, Ultimate Fantastic Four, X-Men, mica cacchi e magistralmente illustrato
da Elena Spider-Man / Hulk Rosso
Casagrande. E chi t’incontro durante il viaggio?
Cosa ti ha spinto a disegnare
fumetti?
Io non avevo un progetto di diventare fumettista, da piccolina. Ho avuto
sempre la passione di raccontare storie e, quindi, quando ero più piccola,
disegnavo fumetti però di come passavo la giornata…
Al posto del diario segreto, il
fumetto segreto?
Si esatto [ride]. Ho avuto sempre la passione del disegno, però di
farne un mestiere non ne avevo idea, finché non ho fatto la Scuola Internazionale di Comics che mi
ha aperto un po’ le porte sul mondo del fumetto in generale. Perché io leggevo
solo manga, all’inizio. Quindi, conoscendo altri mercati, altri mondo ho detto “mah,
forse ho qualche possibilità anche io”. E poi, sempre tramite la scuola, sono
diventata assistente di un insegnante, David Messina. E grazie a questo primo
lavoro ho avuto gli agganci per entrare nel mondo del fumetto americano. E da
li, poi, è partito tutto quanto.
Quali sono i tuoi modelli artistici
di riferimento?
Io ho avuto, ho e avrò modelli artistici di riferimento, penso, per
sempre. Perché comunque non si finisce mai di imparare. Quando stavo a scuola
ho cominciato con Risso, Mignola, sempre un po’, stile dark, bianco e nero…
poi, ovviamente, gli stili si sono evoluti, quindi, adesso, vedo Tommy Lee
Edwards, Carnevale, Andreucci… Ne sono talmente tanti, ogni volta che me li
chiedono me li dimentico [ride]. Vabbè, sono infiniti. C’è sempre qualcosa
davanti.
Tu hai lavorato per la IDW,
facendo una serie di trasposizioni a fumetti di serie televisive. Com’è il
passaggio da un medium televisivo a quello a fumetti? Quanto deve essere
fedele? Non solo nello spirito della serie, ma anche a livello grafico.
Di base, devi partire con la somiglianza degli attori, quindi, fai
sempre degli studi preparatori. Poi l’editor che, ovviamente, subisce le
supervisioni della produzione televisiva e, a volte, anche il consenso degli attori
stessi…
Ti hanno fatto “storie” a te?
Si, alcuni si [ride].
Possiamo fare un nome?
Jennifer Love Hewitt
per Ghost Whisperer. Si lamentò perchè le avevo fatto il seno troppo
grosso.
Ma la prendono in giro pure i
Griffin per il seno grosso!
[Ride] Però, ecco, devi partire con la somiglianza dell’attore, io, come
prima cosa, mi do l’obiettivo di riprodurre
l’atmosfera televisiva. Quindi, cambi di scena, luci, gestualità dell’attore,
tipi di inquadratura…
Quindi cambia il linguaggio del
fumetto? Si fa più vicino al cinema.
Si, si, sicuramente. Penso sia un linguaggio un po’ più statico, nel senso
che non è tipo i fumetti dei supereroi dive hai tante visioni distorte,
prospettive, è una cosa un po’ più regolare si rifà alla telecamera.
Tu hai lavorato anche su Cronache di Topolinia: Avalonia Special
e su La stirpe di Elan. Che rapporto
hai, quindi, con il fantasy?
Mi piace! Però finisce la [ride]. Nel senso che son state
collaborazioni brevi, quindi, non ho avuto modo di lavorarci tanto su. È un genere
che mi piace personalmente. Sono un fan del Signore degli Anelli e di varie ed
eventuali, però, oltre a quelle esperienze non ho avuto altri approcci.
Ti chiedo questo perché,
comunque, tu lavori con il fantasy: Spider-Man,
Hulk, lo stesso Suicide Risk, non sono proprio realistici. Riformulo la domanda:
che rapporto hai con il fantastico?
Ho un rapporto buono [ride]. Nel senso che mi piace che ci sia quel tocco
di inverosimile, di fantastico, appunto, che da quel pizzico di entusiasmo
verso qualcosa che non potrà mai accadere nel nostro mondo…
No… Io cerco sempre di farmi
mordere da un ragno!
Oh, occhio [ride].
Eh, per mo solo un po’ di
febbre ho avuto, niente poteri!
Parlando di ragni… Hai lavorato
sia su Spider-Man che su Hulk Rosso per la Marvel. Che vuol dire
confrontarsi con icone storiche del fumetto, icone pop della cultura?
Hai detto bene perché all’inizio ero emozionatissima, festeggiavo,
offrivo da bere a tutti, «oddio lavorerò
alla Marvel»… Poi, invece, è salita l’ansia da prestazione anche perché avevo
a che fare con dei personaggi punto di riferimento per il mondo intero, quindi,
pensavo sempre «sono altezza? Sto facendo
bene? Cosa penseranno?». Quest’ansia, quindi, verso gli ultimi lavori che
ho fatto ha prevalso e un po’ ne ho sofferto. Ma me ne sono accorta quando ho
finito di lavorare con la Marvel e son passata ad un progetto gestito
completamente da me, dove avevo più libertà d’azione, non avevo altri punti di
riferimento e, quindi, ho detto «ho
capito adesso la differenza».
Quindi è difficile lavorare con
punti di riferimento così stabili?
Per me è stato difficile reggere il confronto, essere all’altezza. È stato
bello però [ride].
Direi… Penso che tutti i
disegnatori del mondo almeno una pagina per la Marvel la vorrebbero realizzare.
Tu stai lavorando su Suicide Risk,
sei la disegnatrice tranne che per un paio di episodi, e la serie racconta di
un mondo in cui i superpoteri esistono, tema su cui la Marvel ci ha costruito
un impero sopra. Tu e Carey avete scelto, invece, un’ottica diversa, quella dei
superpoteri che comportano più super criminali. Perché avete scelto proprio
questa chiave di lettura?
Ti racconto come sono stata approcciata al progetto. Mi contatta l’editor
e mi fa «guarda abbiamo in ballo questo progetto scritto da Carey…» e quando mi
ha detto “scritto da Carey” ho pensato «ok, sono qua», «… Che parla di questo
poliziotto che vive in un mondo come il nostro, però è popolato da
supercriminali che hanno superpoteri, non in calzamaglia o divise, ma hanno
costumi fatti come se ce li dovessimo fare noi, quindi abbastanza verosimile». Infatti,
da là sono partita per fare i costumi dei criminali che si vedono. Poi, andando
avanti con la storia, invece, si scopre… Forse non te lo spoilero… Ma c’è un
motivo dietro! Andando avanti si scopre che c’è un motivo per cui, queste
persone, sono supercriminali e il punto di vista della storia cambia
completamente e c’è una chiave di volta diversa. E tu, rileggendolo, noti tante
altre cose.
No. È stato facile e divertente.
Non avevate paure di cadere ne “già
visto”?
Guarda… E che non voglio fare spolier [ride]… Diciamo che, ad un certo
punto, si capisce che ci sono due mondi…
Si, ci siamo arrivati. Noi lettori
lo sappiamo!
… E la parte divertente è stata che i personaggi stanno in tutti e due
i mondi. Però il secondo mondo ha quel tocco di fantasy di cui parlavamo prima.
Potrebbe ricordare una cosa di già visto, ma è una cosa nuova e divertente da
fare, da ricreare.
A questo punto la domanda… Che
superpoteri vorresti avere? Se qualcuno venisse con la pennina…
Io vorrei essere tanto la Torcia
Umana. Perché penso di avere un po’ di piromania dentro e…
Bòn! Gli estintori ci stanno,
si?!?
[Ride] e poi il desiderio di volare… Ma non soltanto il volo banalotto…
Come Superman?
Esatto! Ma con il fuoco. Il fuoco mi ha sempre attirato.
Qual è la differenza, come
disegnatrice, tra il fumetto americano e quello italiano? Non solo a livello di
pratica lavorativa, ma a livello di linguaggio, di approcciarsi al fumetto.
Sicuramente si! Veniamo da due retaggi culturali differenti. A livello
di disegno… Le basi sono uguali per tutti, l’approccio stilistico è diverso tra
quello americano e quello italiano. Quello italiano, vabbè, la Bonelli [ride],
è proprio un modo di narrare diverso. Anche per il fatto che la maggior parte
delle storie americane si devono sviluppare in 20 pagine in confronto alle 94 della
Bonelli. C’è proprio una narrazione diversa un approccio diverso ai dialoghi,
alle movenze, ai personaggi, ai tipi di inquadratura. Non “opposto” però…
Diverso!
E tu ti ritrovi meglio nell’approccio
americano o in quello italiano?
Forse perché io conosco, quasi esclusivamente, quello americano… Nn ho
mai lavorato per il fumetto italiano… Però sarebbe una sfida interessante! Perché
parlando con i colleghi ho scoperto che ci sono proprio delle regole che devi
seguire… Quindi è la sfida!
Non ti bastava la sfida della Marvel?
Ora anche quella italiana?
E certo! Sempre! La sfida è un modo per crescere!
Quindi
lasciamo Elena con un accendino in mano pronta alle nuove sfide fumettistiche e
la ringraziamo per la gentilezza, la disponibilità e la simpatia… E poi perché ci
ha lasciato anche un suo sketch, ovvio! Quindi ringrazio ancora l’Artista per
le sue foto (sennò mica ci credete che ho incontrato Elena), Zio Edo e la
Madama che mi permettono di incontrare gli autore e Batarman che è costretto a
montare un video con me presente. E via! Proseguo nel mio viaggio per
Nerdopolis… Lasciandomi alle spalle un incendio… Eh!?! Ma… Era dove ho lasciato
Elena…
I pigri che vogliono ascoltare la mia suadente voce maschia, possono vedersi il video qui sotto.
I pigri che vogliono ascoltare la mia suadente voce maschia, possono vedersi il video qui sotto.
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