22 giugno 2013

Cloud Atlas: Quando i “sei gradi di separazione” lo sono nel tempo [Recensione]



Per chi non lo sapesse la teoria dei “sei gradi di separazione” recita che tra me e te che stai leggendo, pur non conoscendoci, ci separano sei persone: io conosco uno che conosce un altro, ecc, fino a te. Sei. Quindi, si, stai attento, sono più vicino di quello che pensi. Se senti un fruscio dietro la finestra, un passo furtivo oltre la porta, una voce ansante al telefono, è un maniaco sessuale, io, invece, rimango dietro alla testiera ma ci separano sei persone. Ma quel maniaco potrebbe aver molestato qualcuno, che ha molestato qualcun altro, ecc, fino ad essere molestato da me.
Ok, ma basta con chi conosce chi ha molestato chi, e concentriamoci su: chi conosce chi, nel quando e nel dove!
I fratelli Wachowski ci hanno regalato (e gliene saremo sempre grati) il primo Matrix (che il secondo e il terzo erano un bel po’ inferiori), quel trip allucinogeno da ricovero psichiatrico di Speed Racer e il thriller lesbo soft di Bound. Ok, sono un pochino discontinui, pensando che con il primo Matrix potevano campare di rendita (come ha fatto Cameron con Titanic, per chiarirci), e quindi non ci stupiamo che Cloud Atlas non sia un capolavoro. Ma è comunque un ottimo film. A diluire la loro regia troviamo Tom Tykwer che, a parte Lola Corre, non è proprio un astro nascente della regia, ma il fatto suo lo sa davvero.
Il trio di registi mette in piedi un kolossal. Come quelli che faceva De Mille (perdonami Cecille), ma con il gusto assolutamente moderno della narrazione.
Sei epoche diverse, almeno nove personaggi principali che si trasformano in base alle epoche, intrecci, richiami, legami dipanati per un arco narrativo lungo quasi 500 anni (dal 1849 al 2321: 472 anni, ah la calcolatrice).
Per fare, ehm, chiarezza...
La trama… Beh… Uhm… Ecco…
Il tema del film è invece molto affascinante: noi siamo quello che gli altri sono stati prima di noi, le nostre azioni, i nostri sentimenti, le nostre “anime” producono effetti sulle generazioni successive.
Lo so che vi state chiedendo «ma la trama?». Non c’è una trama! O, almeno, non è una trama unica per tutto il film, sono sei film messi insieme, sei micro trame, sei micro drammi, sei micro generi. Storico, fantascienza, thriller, drammatico, commedia, un genere per una sfaccettatura delle vicende umane, che siano di lotta personale, di lotta universale, o di salvaguardia di un popolo.
Ad unire tutta la vicenda è il tema di cui sopra. Chi siamo se non la somma della nostra storia personale unita a quella di chi ci ha preceduto e di chi influenzeremo in futuro? E cosa vedranno, coloro i quali volgeranno il ricordo verso un passato lontano, se non le fondamenta di chi sono adesso? Capisco che sia molto “finto zen” ma non lo è. Noi tutti, l’umanità in generale, è sempre la stessa, vive in un cerchio in cui tutto si ripete. È vero, cambiano le epoche, cambiano i vestiti, le abitudini, ma l’umanità è sempre la stessa. Non è un pensiero angoscioso o senza speranza, invece dimostra di come, sebbene mutabile, l’umanità si coerente a se stessa e mai abbandonerà i suoi principi: è violenta, vuole soggiogare, è avida, ma sarà sempre in grado di aiutare e farsi aiutare, di combattere per ciò che giusto, e di amare.
Sebbene il film tratti un ampio e variegato tema come questo in maniera, forse, un po’ superficiale, riesce, comunque nell’intento di aprire una riflessione interessante.
Viaggiare per mare può essere pericoloso... Puoi incontrare città del futuro.
Sul piano tecnico… E di che ti vuoi lamentare? Scenografia perfetta, costumi magnifici, effetti straordinari, attori eccezionali, trucco divino… 
Halle Barry è qualla col pizzetto? No, perchè Tom Hanks
di colore e con i capelli lunghi ci sta proprio bene!
Non c’è una pecca. Ogni attore sostiene, come minimo, dalle quattro alle sei parti, coadiuvato da un trucco favoloso, senza far stridere o far sorridere lo spettatore, senza impedirgli di uscire fuori dalla atmosfera, ma coinvolgendolo ancora di più in questo maestoso inno alla libertà che, forse, cede un po’ troppo al virtuosismo e ai richiami, ma che sa prendere e trattenere, nonostante le quasi tre (!!!) ore. Insomma, non è facile mantenere un equilibrio tra tema, visività e contenuti, ma Cloud Atlas ci riesce, facendo sbuffare un pochino qua e là, ma senza mai deludere.
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