22 novembre 2014

Hunger Games: Il canto della rivolta (Parte I) [Recensione o, forse Riflessione]

Allora… Ho visto i primi due e ho pensato, beh, vediamoci pure sta terza parte prima che poi la terza parte-seconda ce la sciroppiamo un’altra volta. Dopotutto la moda di Harry Potter e Twil#@*§... Arghhh… Crampi alle dita… Vabbè, della saga dei vampiriri colpisce tutte le saghe pseudo-Cìovani. Ma… Mentre in Harry Potter, diciamo, che aveva senso, diamine, era il finale di una saga lunghissima che ha appassionato e intenerellito ragazzi che erano bambini col primo film e si son trovati adulti all’ultimo, se, per quanto riguarda la saga degli ormoni-vampiri-impazziti, non avrebbero dovuto farne neanche uno di film figuriamoci dividere l’ultimo in due parti, con Hunger Games, diciamo che potevano risparmiarselo. No no, non perché sia brutto, chiariamo, ma perché sostanzialmente è solo un lungo prologo a qualcosa che, nel film stesso, non accade ancora (ovviamente! E sennò come riempivano il secondo film?). E qui casca la ghiandaia imitatrice!

Finalmente ho capito perché una saga comunque alla fin fine ben scritta, ben girata ed interessante, non è riuscita mai del tutto a scalfire il mio cuoricino da nerd e a farmi innamorare: è inautentica! Costruita a tavolino per restituire emozioni facili facili e farti cacciare la lacrimuccia da empatia spicciola. Dici «beh!?! E che pretendi?!!?». Infatti non pretendo niente. Insomma, penso di essermi fatto un’idea di cosa sia il cinema, e che diamine, ho visto millemila film dai capolavori ai film con le pezze al culo, un po’ di giudizio, forse forse, me lo son costruito. Si, tranne Michael Bay, ma che ci posso fare?!? Però è già qualcosa, sapere di avere un difetto ed ammetterlo.

Comunque…
Parliamo chiaro: il problema è che questa saga per adolescenti (perché, diciamocelo, è per quella fetta di pubblico o per le madri che hanno visto troppe puntate di Una mamma per amica) comunica il messaggio che si può (e si deve) fare merchandising su un qualsivoglia movimento di rivolta. Mi spiego meglio: i Distretti di sto film, stanchi delle angherie di Capitol City, dicono «e mo ci ha un po’ rotto le palline con bombe e genocidi… W la rivolucion!!!». Fin qui, nulla strano. Il problema è che tra gesti, spille e ciondoli banalizzano e totemizzano (addirittura?!?! E che è…) il significato della rivolta sociale. Che tu mi alzi le tre dita al cielo (gesto palesemente legato all’icona del rivoluzionario) senza creare l’empatia e senza comunicare il portato di un gesto del genere perché lo annunci con frasi banali «”combatterai per noi?””si, certo”» (grande spessore narrativo, non c’è che dire), non fai altro che banalizzare il significato e il senso della rivoluzione sociale.
Insomma è la stessa cosa che hanno fatto quando hanno messo la capa di Che Guevara sulle magliette… Solo che qui è l’industria cinematografica per ragazzini a farlo! Io lo so che il film non pretende di narrare un fatto di storia, ma il messaggio che passa è: alza la manina in cielo e sei uno dei nostri che lotta contro il potere. Le ultime generazioni fanno il consumo fast-food di ideologie, il terreno per imbeccarle con ritualità gestuali è fertilissimo. Un contro è credere in un’ideologia e nella libertà dalle oppressioni o dai governi dittatoriali, un conto è abbracciare superficialmente il monito di un filmetto di intrattenimento. Cavolo, trovo sia molto meglio costruito l’anelito alla libertà della Terra di Mezzo… Ma forse, sto esagerando…

Una nota di merito va fatta, però. Anche,s e in realtà, non so quanto sia voluta dagli autori del film. Una tematica che, bòn, a stare, ci sta, è quella dell’utilizzo del medium video: sia che sei un rivoluzionario, sia che sei un tirannico despota senza cuore o morale, fascistone e con mire vestiarie da gelataio, niente raggiunge le masse come un bel trailer!
«Geeeeelati... Geeeeelati...»
Con tanto di musiche, effetti speciali e propaganda. Non so se l’intento degli autori sia quello di fare una critica, ma trovo comunque interessante che in un futuro distopico, in cui la gente non c’ha manco di che mangiare, ci sia comunque una presenza massiccia di tecnologia video, utilizzata da ambo le parti, per veicolare i propri messaggi. Dopotutto viviamo in un epoca di selfie e bimbiminkia, non stupisce che questo, in un probabile-masperiamodino-futuro, si traduca nella continua spettacolarizzazione di messaggi o di personalità autoelette.

Vabbè, ma qui si è fatto troppo serioso e che palle.

Concludiamo questa sosta del viaggio per Nerdopolis, dicendo che il film si presenta bene, niente di orrendo, manco di superbo. Qualche scena ha il suo bel perché (penso alla scena prima e durante l’attacco alla diga), ma per il resto è un film proprio di “passaggio” perché, sostanzialmente, torna al punto di partenza: la fine del secondo capitolo.

E che si fa mo? Eh… Si aspetta il finale.

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