29 dicembre 2013

The Impossible: a dimostrazione che non solo gli americani sanno fare film catastrofici [Recensione]

Devo essere sincero. Era da veramente tanto tempo che non guardavo un film ed esclamavo con un sorrisino soddisfatto: «questo si che è un bel fim!». Attenzione a non gridare al “capolavoro” ma al “filmone” assolutamente si.
Lo so che tante volte mi son trovato a vedere un bel film, ma bello davvero, e trovarci comunque qualche stridio che sia concettuale-visivo-altro-nonso. Qui invece no. Te lo vedi e sei soddisfatto di essertelo visto.
Parliamo di una tragicissima storia vera. Ma non quelle “storie vere” tipo Non aprite quella porta, ma proprio di una storia vera-vera. Nel lontano (mica tanto) dicembre 2004, vicino la costa della Thailandia si è abbattuto uno dei più grandi tsunami. Ha devastato e raso al suolo l’intera costa, lasciando un’immensa distesa di morte e distruzione. E il film racconta la storia di una famiglia in vacanza (hai capito che culo) che si è ritrovata in mezzo a questo disastroso evento naturale.
La trama è molto semplice e lineare: si abbatte l’onda gigante, la famiglia si separa, si cercano l’un l’altro e… Ok stop! Non voglio spoilerare. Ma, insomma, si capisce, non c’è una chissà-che-cosa di trama, ma non è affatto un problema, anzi. La storia è realistica: tu, nelle stesse situazioni, faresti le stesse cose, quindi era inutile imbellettare gli eventi per forzare la trama. Il tutto è coerente con la “visione” dell’intera pellicola: lucida, senza sentimentalismi costruiti a dovere, senza eroicità gratuita o artatamente forzata, ma solo la terribile, documentaria (si fa per dire, è ovvio) e sconcertante visione degli eventi. Non serve rendere ancora più drammatico qualcosa che lo è già di per se. Non serve fare scenone pieni di effetti speciali stile 2012 o L’alba del giorno dopo (per carità, godibilissimi “disaster movie”), perché ciò che è successo è già terribile di per se.

I personaggi si muovo (“arrancano”, meglio) in questo ambiente distrutto, pieni di ferite e contusi, senza sapere come e cosa fare, dove andare, come reagire agli eventi. E tu sei la che li guardi impotenti e ti disperi per loro, ringraziando qualche divinità che, nel dicembre 2004, tu te ne stavi in sala da pranzo ad abbottarti di mostaccioli.
Gli attori tutti bravissimi, senza un minino di eccesso nella recitazione. La regia è eccellente: serve le immagini senza intrusività nonostante si concentri principalmente sui protagonisti che sulle grandi scene di devastazione. E le scene… Allora, la sequenza dell’onda che si abbatte sui protagonisti e la relativa distruzione di tutto è tra le migliori viste negli ultimi anni: coinvolgente, emozionante, disperante, ti lancia in mezzo all’acqua torbida e piena di detriti insieme ai personaggi e ti sembra anche a te di annaspare. Le scene drammatiche sono strazianti ma mai stucchevoli così come quelle un po’ più “di speranza”.
Almeno qui non fanno come in "Titanic"
Insomma, è un film da vedere.
La produzione è spagnola e si vede. Nel senso: non è che la Spagna ha questo taglio cinematografico così riconoscibilissimo, ma si vede che non è un film americano. Gli americani, quando devono fare qualche film “catastrofico” mettono in piedi una sontuosa (gli va dato atto) messa in scena  che però, spesso e volentieri, raccoglie scene e situazioni banali, di finti sentimentalismi, con botte di patriottismo ed eroismo tipicamente iuessei. Insomma: Armageddon, Titanic, Deep Impact, Pearl Harbour, persino i Io sono leggenda (non a caso ho fatto esempi di film sia fantastici che “storici”) che sono tutti bei (chi più, chi meno, è ovvio) film catastrofici (di catastrofi, insomma) propinano, comunque, uno stile eroico palesemente costruito apposta per farti emozionare. Qui invece no: tutto è terribilmente realistico e, quindi, t’immedesimi ancora di più, in maniera più viva. E ti disperi. Perché ciò che vedi è tutto disperante, faticoso e drammatico.
Per concludere, tiriamo le fila: ottimo film che ha saputo coniugare il “disaster movie” con drammi personali, familiari e mondiali, senza essere stucchevole o esagerato, ma con la lucidità e il rispetto per chi, quegli eventi li ha vissuti e ancora oggi ne porta le cicatrici. Fisiche o emotive.
E con questa "allegrissima" immagine, auguro a tutti voi buon 2014 (tranne a te, ovviamente)

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