7 marzo 2015

Birdman: ovvero “mammaaaaaa!!! Hollywood mi ha preso il giocattolo! [Recensione]



Allora… Tutto molto strano… Già… È  vero che non ho visto ancora Biutiful, ma ero rimasto che Inarritu fosse un bravo regista. Che gli è capitato? Amores Perros era magnificamente doloroso, 21 Grammi era straordinariamente angoscioso e Babel era divinamente drammatico, e questo Birdman? Inutilmente bacchettone!
Andiamo con ordine.
La storia è quella di una star hollywoodiana ormai in declino che prova il grande “salto” artistico mettendosi alla prova con uno spettacolo teatrale di Broadway. Partiamo già dicendo che questa premessa del riscatto bla bla bla, non è proprio una novità, specialmente nei film american-style-la-terra-delle-opportunità che Birdman prova tanto a criticare. Si, va bene anche la lettura dello star system che fagocita le capacità altrui e poi le evacua come nulla fosse, ci sta pure ma…
… Ma quello che ho trovato davvero seccante è che è un film saccente, tipo suora che gestisce un asilo e tartassa i bimbi troppo vivaci per fargli leggere i salmi e meditare: cioè che cacchio fai?!?!
Inarritu va giù di critiche: brutti e cattivi (lo ha detto anche in una recente intervista) i cinecomics che lobotomizzano gli spettatori, gli danno la pappa pronta e sminuiscono grandi attori; schifo e cacca per quegli attori pieni di se (falliti e non) che confondono la vita con l’arte; mostri frigidi quei critici pomposi e pieni di se, finti intellettuali; malvagi i social network che standardizzano i rapporti sociali e li semplificano a mere interfaccia virtuali. Ok, critiche assolutamente condivisibili, sia chiaro, non voglio fare il nerd-difensore dei cinecomics, ma non è condivisibile il fatto che un regista intelligente come Inarritu si sia ridotto a banalizzare tutti questi concetti, sentiti e forti nella nostra contemporaneità artistica e sociale. Non basta spiattellare qua e là questi concetti senza “commentarli” se non come farebbe chiunque sia intellettivamente normo dotato.
Sinceramente, Inarritu sembra tanto un bambino a cui non hanno dato il giocattolo e quindi dice «che schifo tanto non lo volevo». E si vede anche da come è girato: pur adorando visceralmente i piani sequenza (ma proprio visceralmente che le viscere… ok basta) qui mi sembra tutto un esercizio di stile fine a se stesso. Sokurov, fagliela vedere!!! Un po’ come a dire: «oh ma guarda qua che ti faccio, tiè tiè, vedi?».  Lo stesso vale per gli effetti digitali: fatti bene, ma proprio bene, ma anche li, servono a mostrare la schizofrenia (???) del protagonista e son fini a se stessi, di maniera. Tipo a dire: «lo vedi che li so fare anche io? Faccio virtuosismi tecnici per far vedere che son capace, ma non li faccio quei cinecomics, ma ne sarei capace, no non li faccio, dove firmo per Batman 7?».
Anche l’utilizzare tre attori presi da cinecomics, Michael Keaton (Batman), Edward Norton (Hulk) e Emma Stone (Gwen Stacy), mi sembra faccia fare la scelta facile per criticare dall’interno il sistema di cui, però, si fa parte: non autocritica del sistema, ma critica fintamente distante (oh, Inarritu, di attoroni da blockbuster ne ha usati parecchi, quindi…).
Secondo me per questo ha vinto l’Oscar: sensi di colpa per i miliardi incassati a morire con i cinecomics. Noi ti diamo l’Oscar perché hai ragionassimo che Hollywood è solo una macchina per fare soldi, ma intanto quei soldi ce li teniamo che pare brutto buttarli via.
Ripeto: non voglio fare l’avvocato difensore ma, parliamo chiaro, i cinecomics sono fondamentalmente “onesti”. Mi spiego meglio: è vero che sono una macchina per fare soldi, è vero che solo lontani dalla concezione di film come esercizio culturale, ed è vero che fomentano lo star system… Ma… Embè!?!? Sono film destinati ad una parte del multicolore universo cinematografico. Voglio pure capire che la gente preferisce imbambolarsi davanti ad un tripudio di effetti speciali, e questo è un male, ma, volenti o nolenti, sono un fenomeno culturale e sociale, e, per giunta, nati nel momento in cui, tecnicamente, potevano nascere e nel momento in cui, culturalmente, potevano intercettare le preferenze multimediali del pubblico, di sinergie tra media. Il fumetto, ora (e finalmente), pare stia raggiungendo una legittimazione culturale, i cinecomics non fanno altro che, da un alto, acchiappare un pubblico di aficionados, dall’altra di allargarsi agli scettici che prima li snobbavano.
Perciò, questo Birdman si sembra uno sterile e banale esercizio di stile mosso da sentimenti condivisibili ma ridotti a triste rimprovero materno: «perché non si picchiano gli altri bambini?» «perché è una cosa brutta, mamma». Beh, diciamo che Inarritu fallisce nell’intento pedagogico: non oso immaginare se il figlio dovesse pubblicare su facebook una foto di lui che gioca con l’aciton figure realistica di Robert Downey Jr. vestito da Iron Man.

2 commenti:

  1. Anonimo15:25

    Non sono d'accordo innanzitutto sul concetto dei cinecomics. Anch'io ho visto quasi praticamente tutti i film tratti dai fumetti marvel o dc, e, a parte qualche raro caso, li ho trovati non brutti, ma di una banalità sconcertante e svilente. Tutti questi supereroi e il concetto della loro stessa nascita è ciò che fa parte del nostro momento culturale legittimandone l'esistenza in pieno, è verissimo, e lo sono che siano nei fumetti o a maggior ragione al cinema per il loro enorme impatto, ma la colpa dei cinecomics sta nell'auto ridicolizzarsi con una serie di trame fatte con lo stampino (sullo stile dei cinepanettoni) tutti uguali a se stessi e scontati quasi al ridicolo, non si pretende film autoriali, ma film che abbiano la profondità presente in quegli stessi personaggi e in quelle stesse storie che si possono leggere nei fumetti. E questo accade di rado. Detto questo birdman l'ho trovato invece molto intrigante e interessante. Il piano sequenza secondo me non è solo un esercizio di stile perchè rende evidente quanto un fattore che fa parte praticamente da sempre del linguaggio cinematografico, ma con grandi limitazioni di movimento e di tempo a causa dei mezzi, possa, invece adesso, essere rivoluzionato e avere la stessa forza espressiva di un montaggio rapido. Il film poi, l'ho trovato fin da subito, invece, un film molto "hollywoodiano" a partire dalle "stars" presenti fino al tema trattato, ne ho visto un film hollywoodiano che rifletteva sulla propria esistenza di certo non con caustica criticità, ma tenendosi sempre ben al di sopra di una critica vera e propria, ma l'ho trovato ugualmente godibile proprio perchè non sono uno di quelle persone che demonizzano hollywood a prescindere.

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  2. Anonimo19:14

    Forse il punto centrale su cui si focalizza l'articolo è in realtà un altro: cioè il fatto che Inarritu sia rimasto più o meno involontariamente vittima del mondo da cui vorrebbe prendere le distanze e che un po' in fondo sembra piacergli.
    Dopo aver tracciato il ritratto dell'attore frustrato da un genere che gli ha reso fama e successo -e che però forse non è all'altezza del suo talento e della sua cultura- il nostro eroe sogna addirittura Carver. E fin qui tutto bene, è anche divertente, godibile. E' da un certo punto in poi, però, che tutto sembra precipitare nel patetismo, nel moralizzante, sopratutto quando vengono fuori la psicologia, le fragilità e i timori un po' banali del protagonista. Siamo sicuri che quello che vediamo sia il film che Inarritu voleva? O forse è stato premiato l'esito di un'idea che ha preso altre strade, con qualche sfizio tolto qua e là dopo la profondità drammaticità e i pugni nello stomaco degli altri film? Inarritu ha scoperto l'ironia, bene. Sicuri?
    E il finale, beh. Forse avrebbe dato fastidio anche al pubblico più affezionato dei film con i supereroi "veri". Birdman avrebbe dovuto morire sul palcoscenico, allora sì, forse gli avremmo perdonato qualcosa in più

    p.m.

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