19 maggio 2013

L'Ora Nera: ma brutta forte eh... [Recensione]



Anche se sarebbe meglio chiamarlo “Le due ore grigie”. Certo, non stiamo parlando mica di World American-Style Invasion ma non stiamo neanche parlando Alien, sia chiaro. Il problema, neanche tanto trascurabile, è che ricalca pedissequamente tutti (ma tutti, eh!) i canoni dei film catastrofici con alieni. Rispettato tutto l’ ABC:
gruppo non sempre coeso, l’eroe titubante di turno, la storia d’amore che nasce in circostanze estreme, i “profondi” legami di amicizia che si spezzano, la tizia che non parla bene la lingua ma che ha le palle quadrate, il genio incompreso e matto come un cavallo che trova la soluzione prima di schiattare, atti inutili di eroismo e via dicendo, insomma niente di nuovo dal vento che soffia dall’est.
I produttori si saranno detti, tutti seduti al tavolo delle riunioni:
«allora, abbiamo dei soldi, che ci facciamo?»

«un  horror ambientato nei paesi dell’est!»

«ma no, c’è Hostel che ci già ci fa buona pubblicità: vacanze, tette, culi e se ci scappa pure un occhio sciolto dalla fiamma ossidrica»

«lotta secolare tra il bene e male fino ai giorni nostri, un Underwold in salsa sovietica»

«già fatto! Ben due! I guardiani del giorno e della notte con tanto di matrioska con zampe da ragno»

«trovato! Un film sugli alieni!»

«ma dai! Che ideona! Quando mai gli alieni hanno attaccato la Russia! Scassiamo Mosca!»

«si si, dai, che forza, vai tavarish, dasvidania» e via dicendo (beh? a proposito di clichè...).
Più o meno sarà andata così, perché non è possibile che questo film sia nato con un preciso scopo, un preciso obiettivo, o che sia stato costruito, in questa maniera, consapevolmente. Gli stessi russi fanno un film sui i loro cliché e si auto-offendono: donne discinte, club di drogati, frasi in russo buttate così giusto per, chiatto tutta barba e alcol. Vabbè, alla fin fine, venti minuti di cliché sulla ‘”patria Russia” passano in fretta e tatà arrivano gli alieni. Bisogna ammettere che l’arrivo dei visitatori spaziali fa il suo effetto ed è inquietante: sfere luminose che scendono lentamente e silenziose durante la notte prima di polverizzare letteralmente i poveri malcapitati di turno. Insomma niente asteroidi che si schiantano fracassando tutto. 
«I belive I can fly...» Puff!
La per là urli «ohmiodio sono cattivissimi e…» poi ti si accende la spia nel cervello «aspè! Tipo la Guerra dei mondi di Spielby». Ma non fa nulla, vai oltre. Poi ti dicono che ste palle luminose, che poi diventano invisibili, fanno tipo corto circuito con i materiali elettrici e quindi passandoci vicino appicciano ogni lampadina e ogni apparecchio. Ideona dei protagonisti: «appendiamoci una lampadina al collo così ci accorgiamo quando sono vicini e poi fa proprio figo nei film postapocalittico, poi giriamo di notte così vediamo quando si accende tutto». Pensi «wow, forte, e…» altra spia «tipo Io sono leggenda, ma al contrario». 2012, pur essendo anni luce lontano dal concetto di capolavoro, almeno ti comunicava l’angoscia della fine ineluttabile, e questo film ci prova con qualche frase tipo «tutte le grandi città sono state colpite», «come facciamo a sapere che non siamo i soli sopravvissuti», e vengono immediatamente contraddetti perché incontrano un gruppo di resistenza (tanto per dire, tipo Terminator, giusto perché è il primo che mi viene in mente, ma uno sconfinato elenco ci starebbe tutto) fatto di russi cazzutissimi che ripetono «questa è nostra patria, tavarish» come se fossero rimasti chiusi per trent’anni e non sapessero che la guerra fredda è finita. Ma bisogna dire che tra un «voi non riuscire ad arrivare a porto» e un «noi spaccare culo» (giuro, parlano proprio così) comunque aiutano il gruppetto a scappare a suon di lanciarazzi. Sta resistenza, poi, non lascia la città perché «ora sappiamo come difendere e come attaccare», che una botta di patriottismo made in Russia non guasta.
Bisogna essere onesti e dire che non c’erano mai stati alieni nascosti in palle elettriche invisibili, ma anche che non è che proprio ne sentivamo la mancanza.
La terribile palla!
Hirsch sembra ancora reduce da Into the wild, un po’ racchietto, con la gobbina, alto un metroeunc***o, con quella smorfia passata per un sorriso, non ti da proprio l’idea dell’eroe. Ma bisogna dire che è praticamente un genio, ha delle ideone complesse e articolate che manco un premio nobel:  come la scoperta che «il vetro è un isolante» oppure l’innovativa teoria del «l’acqua è un conduttore». Insomma un genio assoluto che guarda un po’ salva anche la ragazza (mai visto in un film del genere). 

Questi sono i veri eroi: si gettano a terra e urlano!
Piccolo siparietto sulle due amichedelcuorepollypocket che continuano a ripetersi ossessivamente «sempre insieme, sempre insieme» e praticamente ti stanno dicendo che la bionda tra poco schiatta. Si, la bionda, perché giusto per aggiungere lo stereotipo sessista che fa tanto presa sullo spettatore medio, la bionda è anche stupida e non ne azzecca una: scappa quando non deve scappare, sta ferma quando deve muovere il culo, rompe quando la situazione è seria, insomma la donna sbagliata nel momento sbagliato.
E quindi è così, se è vero che “i soldi non fanno la felicità” è altrettanto vero che non fanno neanche un buon film.

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