6 ottobre 2014

Intervista a Luca Maresca: autostoppisti per Nerdopolis


Il viaggio per Nerdopolis, oltre ad essere pieno d’insidie, rischia di essere anche molto solitario. E quindi, per non farsi cogliere dalla sindrome della “piccola fiammiferaia” conviene ogni tanto dare qualche passaggio a qualche autostoppista. E chi ti incontro sul ciglio della strada con cartellina di disegni in spalla che allunga il pollice? Luca Maresca, disegnatore (nientepopòdimenochè) di casa Bonelli e, pure, formatore di giovani menti per la Scuola del fumetto di Salerno.
Orfani, personalmente, aveva iniziato tiepidamente con i primi due numeri, poi piano piano, a suon di colpi di scena e di una narrazione sempre più coinvolgente, eccolo li che mi ha lasciato a bocca aperta e avidamente curioso di leggere il proseguimento della storia.

Quindi è stato un onore far salire a bordo uno degli artisti di questa serie. E ti pare che il viaggio lo si fa zitti zitti? No, ovvio…


Sei diplomato in “Grafica e Fotografia Pubblicitaria”. Quanto incide nella tua arte lo studio di un medium che lavora per immagini, come il fumetto, ma se ne discosta dal punto di vista creativo?

La grafica pubblicitaria è un settore a parte. Molte volte chi non riesce a fare fumetto finisce a fare il grafico pubblicitaria. Questa è una piccola cosa che ho potuto constatare negli anni [ride].


Quindi tu ti senti riuscito?

Si. Diciamo che lo scopo principale era quello di fare fumetto. La grafica pubblicitaria mi ha accompagnato nei primi anni. Alla fine, è un metodo di lavoro così come fare lo sceneggiatore, fare  il colorista. Bisogna conoscere un linguaggio e comunicare attraverso quel linguaggio. Che è la stessa cosa nel fumetto, sia che sei sceneggiatore, sia che sei colorista. Soprattutto i coloristi più “moderni”. E faccio l’esempio “Orfani”, che ha un metodo di colorazione che in Bonelli non si è mai vista.



È più facile lavorare su un’illustrazione, quindi comunicare con un’immagine in maniera immediata, oppure su una storia più ampia, in cui devi costruire per immagini un intero racconto?

Ci sono diverse scuole di pensiero, penso. Fare un fumetto implicare raccontare e dare emozioni in 94 pagine, oppure semplicemente in alcune scene più spettacolari di altre. Nell’illustrazione, deve essere l’illustrazione stessa, un insieme di emozioni, di sensazioni da voler comunicare. Quindi, forse, da un lato, l’illustrazione è più difficile, però, allo stesso tempo il fumetto è di 94 pagine. Lavorativamente parlando, per fare un fumetto di 94 pagine ci metto un anno, di illustrazioni ne faccio dieci, molte di più. Lavorativamente parlando conviene di più fare l’illustratore [ride]. È un settore bellissimo quello dell’illustrazione, a me piace tanto, ma non mi ci sono mai addentrato al 100%. Mi sembra che sono uscito fuori tema [ride].


No no. Giustamente, un’artista comunque si è formato...

Per fare l’illustrazione bisogna, a parte avere una sensibilità molto particolare per l’illustrazione, bisogna conoscere illustratori, bisogna fare un percorso di studi così come prevedere il diventare fumettista. Lasciando perdere le doti di chi matura, ma anche la predisposizione di una persona… Ci sono illustratori che nascono dall’oggi al domani, che sono pazzeschi appena mettono la matita su carta.

Approfitto, allora… Quanto incide poi lo studio se, magari, uno non ha talento? Può capitare, qualcuno non ha talento, però vuole fare il fumettista e studia… Riesce quanto, magari, uno che ha talento naturale e, forse, lo sviluppa anche poco?
Il talento è una cosa che o ce l’hai o non ce l’hai. A volte basta trovare la strada giusta per farlo esplodere. Chi non ha talento, penso, che a un certo punto se ne accorga…


E smette?

E smette! Credo, eh [ride].


No, perché ci sono disegnatori parecchio incapaci in giro, eh.

Lasciando perdere, magari, il disegno bello e brutto, in quel caso potrebbe essere anche  importante il riuscire a raccontare qualcosa che va oltre il disegno. Anche secondo me ci sono disegnatore meno bravi di altri, che però, sanno raccontare meglio di altri.


Quindi, in questo caso incide lo studio? Lo studio del fumetto come narrazione.

Si! Alla fine il fumetto è la narrazione di un racconto. Quindi i disegni possono essere belli o brutti, ma se il racconto funziona, funziona! Ma io sono sempre per il disegno bello [ride].



Eh, beh, direi…  A questo punto ti chiedo: è da qualche anno, più o meno dagli anni ’80, che il fumetto ha cominciato ad appartenere a quella che viene chiamata  “Cultura Alta”, al pari di un romanzo d’autore, di un film d’autore, di un quadro d’autore. Secondo te, è perché sono cambiato il pubblico e come affronta il fumetto o è cambiato il mezzo espressivo, il contenuto?

Diciamo che il fumetto fa ancora fatica a rientrare in questa “cultura alta”.


Beh, penso ad Alan Moore, che ha vinto anche un premio letterario, come l’”Hugo”.

Io pensavo in Italia.


No, dicevo più in generale. In Italia abbiamo sempre avuto un fumetto, se vogliamo dire “d’autore”, per dire, Hugo Pratt.

In Italia, il fumetto è Tex. Per eccellenza. In Italia è popolare. Il fumetto d’autore c’è in Italia, ma mi verrebbe da dire che di nicchia. Il fumetto per eccellenza che è sopravvissuto a tutti e sopravviverà ancora è Tex [ride]. Ed è fumetto popolare quello. Il fumetto, si, riesce ad arrivare ad alti livelli culturali, ma in Italia si fa ancora troppo fatica.
Basta pensare all’ultima polemica su Gipi e il suo ultimo lavoro, bellissimo, per il “premio Strega”. Però già arrivare ad essere nominato per il “premio Strega” è stato un piccolo passo avanti [ride]. Il problema è che gli italiani non sono stati educati a vedere il fumetto come un’opera letteraria o da libreria, perché negli anni il fumetto è sempre stato visto come passatempo. E quindi bisognerebbe riuscire ad avere un’educazione e a far comprendere che il fumetto non è solo quello, ma anche altro.



Hai citato Tex. Lavorando per la Bonelli ti sei dovuto, necessariamente, confrontare con delle icone del fumetto. Bonelli, in Italia, ha creato il fumetto: Tex, Dylan Dog, Zagor, Julia, uff… Le icone del fumetto italiano, sono tutte della Bonelli. Come è stato confrontarsi con icone abbondantemente sedimentate nell’immaginario italiano?

Vabbè, io non mi sono mai confrontato con Dylan Dog, Tex o…


Si, ma la casa editrice è la stessa, è sempre un colosso.

Si. Quando sono entrato in Bonelli, e ho iniziato il mio primo lavoro per il numero di Orfani, c’è stato il peso della responsabilità. Il peso della tensione, un’ansia da prestazione elevatissima. Proprio perché la Bonelli era il punto a cui miravo di arrivare. Mi sono confrontato, più che altro, con l’importanza della casa editrice per la quale andavo a lavorare. Personaggi come Tex, Dylan Dog e compagnia, alla fine non mi hanno toccato, ne io loro, perché non ho avuto modo di lavorarci. Ho fatto delle illustrazioni con Dylan, ma non mi sono mai confrontato al 100% con questo personaggio, seppur è una cosa che mi farebbe piacere. O su Dylan… O su Tex, non ne parliamo proprio [ride]. Spero, prima o poi, di confrontarmi con questi personaggi. Perché fanno parte di un’icona, quale la Bonelli, fanno parte del mio bagaglio culturale… Mio e di tante altre persone. Quindi, sarebbe un’enorme soddisfazione.


Ma penso che in Italia chiunque abbia letto, almeno una volta, un albo Bonelli.

Ma anche se non lo hai letto, conosci Tex. E poi, mi piace… Ci sono cresciuto… Quindi, perché no?!? [ride]

Visto che tu sei entrato in Orfani, con il numero 5, quindi in una storia già avviata, è stato tanto difficile inserirsi in una continuity che già esiste?
 
No, in questo caso no. Almeno parlo personalmente. Orfani è stata concepita a 360°. Perché ogni autore ha avuto una bibbia, che noi chiamiamo “bibbia” [ride]. In realtà è un malloppone di pagine dove ci sono tutti gli studi di tutti i personaggi, i characters, dalle divise alle armi, ai mezzi di locomozione, alle astronavi, tutti i vari tipi di alieni che si sono incontrati nella serie, i riferimenti dei personaggi con i relativi attori ai quali ci si è ispirati per le fisionomie... Quindi, diciamo, avevamo già tutto spianato. La strada era già pronta. Poi ci siamo rifatti a disegni: io, per esempio, a quelli del numero precedente, chi è venuto dopo di me, ai mie, e così via. È stato abbastanza facile l’inserimento. Ma è così, penso, un po’ per tutte le serie. Perché si crea la necessità di avere un attore di riferimento per una serie? Soprattutto Bonelli. Perché, avendo tanti disegnatori, per evitare che ogni disegnatore faccia un personaggio totalmente diverso da un altro disegnatore, ha dei modelli di riferimento, per cui Rupert Everett è Dylan Dog…


… Audrey Heprburne è Julia…

Lukas è Eric Bana. E i personaggi di Orfani sono… Jonas dovrebbe essere Justin Timberlake, la Mocciosa è quella della Famiglia Addams, Mercoledì…

Christina Ricci!

Si. Juno è quella ragazza che ha fatto Hulk con Eric Bana.


Jennifer Connelly! L’intervista si è trasformata in quiz.

[Ride] Le fisionomie di Ringo sono ispirate al figlio di Donald Sutherland.


Kiefer Sutherland! Quanti punti ho fatto?

100, l’amplein [ride]. Nakamura è un attore di vecchia data giapponese. Abbiamo avuto una sfilza di film da vedere, di fotogrammi da rubare e di disegni da vedere. Non è solo la faccia dell’attore, ma anche come viene riportato sulla carta. Oltre il fotogramma dell’attore, avevamo anche il corrispettivo cartaceo, disegnato.  La strada, così, è stata abbastanza spianata per l’inserimento nella continuity di Orfani. E così è sulla seconda minserie: abbiamo il chacarters design dei personaggi, gli studi dei vestiti, le facce degli attori… Mi stavo tradendo… Stavo per svelarvi lo spoiler… [Ride]


E tanto la domanda ci stava, quindi, dai, facci uno spolier!

Tra qualche giorno esce l’ultimo numero di Orfani, quindi, non lo posso proprio dire. Anche se questa intervista esce dopo Orfani


Uno piccolo…

È ambientato in Italia!




Troppo facile!

E che vi posso dire? Il personaggio principale non ve lo posso dire…


Il genere?

Il genere è post-apocalittico. È ambientato parecchi anni dopo Orfani. Dopo la prima stagione. Dove c’è colui che sopravviverà…


O colei?

O colei che sopravviverà [ride]! Vabbè ma penso che dalla sagoma… Anche perché le donne son morte tutte.


Se qualcuno non aveva letto…

Peggio per lui [ride].


Ma io il numero 11 non l’ho ancora letto.

E peggio per te [ride]. E tu volevi lo spoiler [ride]. Non posso svelare niente…


Ma dopo ti paghiamo…

Ah, ok, allora si [ride]. Il maggiordomo è l’assassino dello scontro… No, vabbè… è ambientato parecchi anni dopo la prima stagione di Orfani e il protagonista, con i vari co-protagonsiti, partono da Napoli e seguiranno questo percorso fino al nord Italia, se non sbaglio anche oltre… Per riuscire a risalire a… Qualcosa… Che , poi, magari esploderà anche nella terza stagione. Di Orfani ce ne saranno…


Detto così è bruttissimo.

Eh lo so [ride]. Ma se non ci sono la.

Ti volevo chiedere una cosa proprio di Orfani. La Bonelli ha sempre fatto in bianco e nero, è stata sempre un’irriducibile, per tanti anni, del bianco e nero. È difficile passare al colore in una serie Bonelli lunga, che ha una formattazione e un modello ben strutturato, e non in uno speciale? È un lavoro più complesso o più facile perché le tavolozze dei colori sono già decisi, i modelli sono già decisi?

Io non ho lavorato a stretto contatto con tutto lo staff dei coloristi. Ho lavorato confrontandomi costantemente con la colorista del mio numero, Alessia Pastorelli. So che hanno avuto, anche loro, enormi difficoltà a trovare una paletta di colori stabile per ogni numero. So che hanno dovuto adattare i colori in relazione al tipo di carta sulla quale è stata stampata la serie. Anche perché, all’inizio, non si prevedeva questo tipo di carta. All’inizio, era prevista una carta che assorbisse di meno l’inchiostro, quindi, un colore un po’ più acceso. Quando hanno fatto le prove di colore su questa carta, si sono accorti che molte tonalità venivano diverse da come erano state pensate, quindi, hanno dovuto dare una rettifica a tutti i livelli di colore, hanno dovuto aggiustare tante cose.
Questo tipo di colorazione prevede un coinvolgimento per il lettore, poiché, alcune scene, sono colorate in un modo particolare per suscitare determinate emozioni, altre scene in un altro modo, per suscitarne altre. Sono dei meccanismi che i coloristi devono conoscere. A cosa servono? Servono a far, inconsciamente, trasportare il lettore in questo mondo, all’interno della storia, per fargli capire determinate sensazioni. Magari, chi legge, non se ne accorge neanche di questi accorgimenti da parte del disegnatore, del colorista, dello sceneggiatore. Perchè Orfani si legge così in poco tempo? Perché è scritto in maniera tale da farti coinvolgere nel modo più veloce possibile. Riuscire a scrivere in maniera così sintetica una storia non è facile. C’è un lavorone per poterlo scrivere così.


In quanto disegnatore, tu sapevi, ovviamente, che doveva essere colorato in una certa maniera, ecc… Ha inciso nel tuo lavoro? Hai dovuto cambiare le cose così come le avevi concepite?

Inizialmente io ho chiesto se avessi dovuto tenere una linea chiara, come il disegno francese, o se avessi potuto lavorare normalmente. Mi hanno detto di lavorare così come lavoro di solito. Però è stato inevitabile il fatto che abbia dovuto lasciare molti spazi da dedicare al colore. Perché mi piaceva l’idea che la colorista ci mettesse molto di suo, così da poter amalgamare ancora di più il nostro lavoro. Questa cosa mi piaceva e l’ho lasciato fare molto alla colorista. Per me, per essere il mio primo lavoro Bonelli, è un buon lavoro [ride]. Spero che anche gli altri…


Beh mi sembra che il pubblico stia apprezzando…

Anche tra i colleghi spero che sia stato apprezzato, perché io sono, di questa serie, il novellino. Ho fatto il mio esordio.


Tu insegni alla “Scuola del fumetto di Salerno”. Cosa vuol dire “insegnare” fumetto?

Innanzitutto, bisogna comunicare la passione per questo mestiere. E poi c’è da capire che il percorso per arrivare a fare fumetto è lungo e tortuoso [ride] perché c’è bisogno di studio. Bisogna conoscere il fumetto: studi di anatomia, di prospettiva, tutte le basi del fumetto. Sono divisi per diversi anni, però, l’insegnamento è aperto anche a chi è, magari, solamente incuriosito dal mondo del fumetto. Comunque si tenta di far capire che c’è tanto lavoro, prima di riuscire a pubblicare qualcosa, a mettere 6, 7, 8, 20, 90 pagine una di fila all’altra. C’è bisogno di storytelling, c’è bisogno di conoscere autori… Per questo durante le lezioni, molto spesso, io e il mio collega Pasquale Qualano, portiamo a far vedere fumetti di autori francesi, americani, giapponese. Anche perché molti vengono a scuola con la convinzione che il fumetto sia solo quello giapponese, il manga, e non hanno proprio ida di quanta altra roba ci sia al di fuori di quello e al di fuori dei semplici supereroi. Diciamo che partiamo sempre dal trasmettere la conoscenza, prima di tutto, di quello che ci è stato e di quello che sta succedendo, dei vari fumetti italiani, così come autori, partendo da Pazienza, per arrivare a Toppi, a Gianni De Luca, e così via. Tentiamo di appassionarli e coinvolgerli, portando avanti un programma che preveda anatomia, la prospettiva, i metodi di racconto… È un percorso comunque lungo che non si fa in qualche mese. Diciamo che non diventi fumettista neanche in tre anni di corso [ride], però c’è bisogno di impegno da parte dell’allievo, e noi tentiamo di comunicare questo.

Facci qualche nome, di qualche autore, a te particolarmente caro.

Come fumettista?


No no, come lettore di fumetti.

Sono quelli che mi hanno portato a fare questo mestiere. Partendo come lettore ho iniziato a conoscere Bruno Brindisi, David Mazucchelli, Sergio Toppi… Ma semplicemente perché papà portava a casa questi fumetti ed io li guardavo, li sfogliavo. Da li è nata la passione. E sono gli autori che mi porto dietro ancora oggi perché ho trovato in loro un modo di raccontare, un modo di illustrare, che per me è poesia. Mi piacciono tantissimo. Bruno Brindisi perché è stato il primo Dylan che ho sfogliato e mi sono innamorato di quel tratto.  Il caso, poi, ha voluto dopo che venissi a sapere che fosse di Salerno e abitasse anche a pochi metri da casa mia. Così come tutti gli altri autori salernitani, non lo sapevo. Andavo ad una fiera, c’era Bruno Brindisi e mi facevo autografare la stampa, basta, finiva li. Come autori mi piace tanto Roberto Recchioni, un po’ perché ha scritto Orfani che reputo perfetto, poi perché mi ha dato l’opportunità di lavorare a Jon Doe, che ho adorato da primo numero. Per quanto produce, poi. Adoro Otomo, Adam Hughese… Sono tantissimi… Ognuno di loro riesce a comunicare qualcosa e provo ad attingere.


Come disegnatori, invece? I tuoi tre pilastri?

Il primo che mi viene a mente è Bruno Brindisi perché ho imparato tanto dal suo tratto… Non so, ce ne sono forse troppi… È prendere quello che ti piace da qualsiasi i disegnatore che ha visti negli anni. Non me ne vengono tre, me ne vengono 100 [ride].

Vabbè, mentre fai l’elenco, ti saluto e ti ringrazio.

Grazie a te.

PS. Tra gli autori che tu non hai citato c’è Manara… E vogliamo un commento alla copertina di Spiderwoman.

Io adoro Manara. La copertina di Spiderwoman secondo me è perfetta, anzi mi fanno ridere queste critiche online che sono assurde. L’unica osservazione giusta, e non perché sono di parte, è quella di Roberto Recchioni: questo voler rilanciare personaggi femminili per elevarli al semplice scopo di donna-oggetto e poi mi chiamate Manara che ha fatto questo per tutta la vita. È il disegnatore di volumi che si sa copia frame da film porno [ride]. Non è che la Marvel abbia scelto in modo saggio questo team. L’unica cosa che mi ha fatto storcere un po’ il naso quando l’ho vista, sono stati i palazzi in fondo…

Son brutti evè?!?!

Sono fuori prospettiva. Con questo non voglio dire che non ho ammirato o apprezzato il soggetto [ride] e il disegno che è perfetto. È Manara. Se tu chiami Manara sai che avrai quel risultato e che comunicherai qualcosa di erotico. È uno dei più grandi professionisti italiani che ha lavorato per la Francia e per tanti altri mercati. Che mi andate a fare la ricostruzione in 3D del personaggio…

È anatomicamente corretta?

Secondo me si! Io da disegnatore, e anche da lettore, non mi sentirei mai di criticare Manara. Non che non ne abbia il diritto, ma se sta lì da più di quarant’anni, ci sarà un motivo? Per me quella copertina è bella. Punto. Oltre al fatto della polemica dell’autore di disegno erotico chiamato a fare la copertina… Non me ne frega niente. Già ne ha fatte altre Polemiche sterili. Il problema di internet è che da voce a troppe persone che non sanno, magari, quello che dicono. Per me è una bella copertina, la posizione funziona, ma è Manara, va benissimo, quindi… Perché no? L’unico commento sensato è stato quello di Roberto Recchioni.



E così, lasciamo Luca Maresca in una piazzola di sosta, salutandolo e ringraziandolo finchè, superata la curva, non mi può più sentire e approfittiamo per ringraziare Madama e a Zio, senza i quali, col cavolo che Luca saliva in macchina. Dopotutto non si accettano passaggi dagli sconosciuti ma, grazie a loro, anche questo è possibile. Inoltre ringrazio l'Artista che senza le fotine fatte da lei, poi, nessuno ci credeva che avevo incontrato Luca Maresca.

In calce, se proprio siete dei pigri e non volete leggere, c’è il video dell’intervista…

Non è che, forse, dovevo dirvelo prima?!?!

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